17 minuti per Ruth

 

E' il tempo tra uno stupro e l'altro in Sudafrica. La nazione arcobaleno prega più per l'eredità morale di Mandela che per le donne che in media vengono violentate ogni 17 minuti. Strumento di guerra in Congo e nelle altre guerre comandate. Stile di vita e di relazioni asimmetriche altrove. Gli stupri non fanno che rivelare la violenza che attraversa una società. L'altro apartheid continua e si propaga come il tradimento nei corpi della mercificazione. 17 minuti di vergogna nell'indifferenza globale che normalizza la violenza delle statistiche con lo spettacolo del dolore.

 

Ruth era stanca di camminare. Aspettava pazientemente alla stazione delle corriere 3SD di Niamey che sua madre tornasse a cercarla. E'stata violentata quando aveva 11 in un quartiere della capitale avoriana profittando della guerra. Sua madre dice che erano giovani mascherati e che l'hanno violentata sotto i suoi occhi. Lei invece è stata solo picchiata. La sorellina minore aveva 3 anni e forse dormiva appesa al suo dorso. Ruth ha13 anni ed è stanca del viaggio. Anche per lei sono trascorsi 17 minuti. Ruth dice che da grande vorrebbe fare il dottore per curare le ferite.

 

Con sua madre e altre due sorelle erano ospiti al campo dei rifugiati avoriani in Ghana dove c’era c'era molta violenza. Le divisioni create nella società erano riprodotte all'interno del campo. Gli stessi commerci e le identiche violenze che si trovano fuori. Persecuzioni politiche, religiose e sessuali. Gisèle, la madre, ha lasciato la figlia più grande al campo ed è fuggita in Algeria. Le avevano detto che c'era lavoro e forse la possibilità di passare in Europa. Assieme alla piccola Grace e a Ruth hanno attraversato il Sahara. Si è pagata il viaggio trasportando a dorso il minerale d'oro di cui il Ghana è ricco. Lavorava ogni giorno nella miniera e la pagavano secondo i viaggi che faceva col minerale. 17 minuti non bastavano neppure per un viaggio.

 

Ad Algeri vivevano come gli altri migranti. Di nascosto durante il giorno e in casa non terminate nella notte. In Algeria il pane costa poco e i vicini la aiutavano in considerazione delle figlie. Dice che ha incontrato molti avoriani e camerunesi. C'è chi cerca di raggiungere il Marocco con la barca per poi tentare l'avventura in Spagna. Altri entrano nel circuito della droga e le ragazze vendono il corpo per trovare una casa dove alloggiare. I loro 17 minuti non passano mai.

 

Ruth aiuta sua madre a caricare le 5 borse con cui tornare al campo dei rifugiati in Ghana. Era diventata donna senza volerlo. Ora vorrebbe ricominciare la scuola della vita. Bisticcia con la sorellina di 5 anni che vorrebbe impadronirsi del quaderno per disegnare il suo nome. La madre prende nota di tutto e lo medita sul diario nel quale scrive le date e gli orari di viaggio. L'altra figlia  ha 17 anni e si trova nel campo dei rifugiati. Ha assistito allo stupro e sua madre teme che le accada qualcosa in sua assenza. Lei non ha più conosciuto uomo da quando suo marito è morto a causa dell'embargo sulle medicine in Costa d'Avorio quattro anni fa. E’ membra di una Chiesa protestante chiamata 'Assemblea di Dio' e prega di ritrovare sua figlia in buona salute.

 

Michael Kra arriva per grazia il giorno dopo. Era ospite nell'altro campo di rifugiati avoriani nel Togo. Come Gisèle è passato anche lui dal Benin e dal Niger prima di raggiungere Algeri. Avrebbe voluto giocare al calcio e per sopravvivere faceva il manovale. Trovava insopportabile la vita nel campo profughi e impossibile quella in Algeria. Uno dei suoi compagni è morto cercando di raggiungere ciò che si nasconde dietro il mare. Anche lui era stanco di vivere di nascosto e dal disprezzo negli sguardi della gente. Torna al paese dove lo aspetta un padre pensionato mentre la madre è ancora tra i profughi assieme al fratello maggiore.

 

Nelle 5 borse Gisèle e le figlie portano quello che trovato in Algeria. Il pane, gli abiti per iniziare il piccolo commercio al campo profughi e un quaderno per annotare l'ora di partenza.

 

                                                                                     mauro armanino, niamey, agosto 2013