Schiavi

Invisibili ma non troppo. Intrappolati dal destino e dalle reti metalliche che proteggono il paradiso di cartone. Gli schiavi non si contano. Quelli della fame sono i più numerosi. Oltre 800 milioni e cioè quasi una persona su sette che il nostro mondo finge di ricordare. Gli altri sono milioni di comparse nel dramma che arriva in ritardo sulla storia. In Asia ma anche in Africa dove la tradizione si perpetua nella modernità liquida che si specchia negli sbarchi.

 

I commmercianti di schiavi frequentano i salotti dei politici. Sono membri onorari dei consigli di amministrazione delle imprese. Si definiscono imprenditori delle economie sommerse dalla vergogna. Semplici cittadini che aderiscono alla svendita della dignità per un conto in banca. Sono i complici della tratta di umani che non si rassegnano alla scomparsa. Come nuovi re Mida trasformano in mercanzia quello che toccano. Prodotti da consumare in fretta sull’altare del profitto.

 

Le navi e gli aerei dei mercanti transitano sui muri di cinta delle civilizzazioni. Gli schiavi si moltiplicano creando nuovi scenari. Carni umane e bambini mai cresciuti. Clandestini nelle fabbriche dove si ruba la ricchezza di pochi. Lavorano per niente nelle piantagioni di caffé e di cacao sulla costa occidentale del continente africano. I bambini scavano l’oro nelle miniere per i gioielli delle signore in cerca di immortalità. La stagione degli schiavi non ha confini stabili.

 

Schiavi della paura e delle mode del momento. Schiavi per i debiti accumulati dal tempo. Schiavi perché venduti come prodotti sul mercato del lavoro. Schiavi dei circuiti del sesso a pagamento. Schiavi delle circostanze che cospirano per inventarli. Schiavi delle espropriazioni forzate delle terre. Schiavi degli investimenti delle risorse da esportare. Schiavi dei matrimoni dagli anni di un’infanzia appena cominciata. Schiavi delle leggi mai applicate. Schiavi delle notizie prezzolate.

 

I sistemi più liberali se ne servono. L’economia conta su di loro. Le ideologie li giustificano. Le religioni li consolano. I mercati li liquidano. Le agenzie li gestiscono. Gli stati li ignorano. Le organizzazioni internazionali li raccomandano. Le imprese li scambiano. Le multinazionali li riproducono. Le associazioni umanitarie si arricchiscono. I trasporti li sfruttano. Le leggi fingono di non sapere. Le grandi marche scommettono su di loro per sopravvivere. Gli schiavi sono necessari.

 

Mammona è il dio che li racccomanda. Ogni epoca produce i suoi schiavi. Soffocati dalla brutalità del denaro che tutto avvolge e giustifica. Gli schiavi di oggi somigliano a quelli di ieri non fosse per alcuni dettagli  organizzativi. La proprietà dei corpi è come quella sulla finanza. Le terre sono svendute ai contadini per produrre combustibili meno inquinanti delle coscienze. Senza quel dio gli schiavi avrebbero cessato da tempo di esistere. I libri di storia li avrebbero dimenticati nei musei.

 

La schiavitù comincia dagli occhi e si tramanda sui dizionari. Si impara a memoria nei libri di geografia delle scuole d’obbligo. Nelle università diventa oggetto di dibattito per specialisti. Gli schiavi sono assenti per mancanza di posti a sedere nelle tribune dei distinti. Nelle conferenze sul tema sono presi come assenti ostaggi. Nelle statistiche si citano come trascurabili danni collaterali. La schiavitù si nasconde nel pensiero dei filosofi e i teologi di morale.

 

Alcuni nascono schiavi e altri lo diventano senza saperlo. Schiavi delle armi e della droga. Schiavi della violenza e del potere. Bottino degli opinionisti di successo. Le catene sono state trasportate dal vento dal tempo della tratta atlantica e araba. Donne e bambini venduti come ostaggi della politica. La schiavitù non ha  bandiera  nè nazionalità. Si confonde spesso con i traffici commerciali e le rotte dei migranti. La schiavitù si serve del silenzio complice della gente perbene.

 

Poi improvvisa venne la notte in cui gli schiavi liberarono la parola. Il giorno seguente alcuni si abbracciarono e le donne iniziarono a danzare.

                                                                                mauro armanino, niamey, ottobre 2013