L’albero Indipendente del Niger
Era cresciuto nella ‘cintura verde’ di Niamey. Aveva passato la sua infanzia credendo nella sua vocazione sociale. L’albero era là quando, nel 1960, erano stati fatti i dovuti arrangiamenti per la prima festa dell’Indipendenza coi coloni francesi. Era un figlio dell’illusione di poter ridurre la polvere del vento del deserto che soffia come dappertutto nel Sahel. 250 ettari di alberi piantati per fermare il deserto alla frontiera della capitale Niamey. Era un albero militante della prima ora come tanti altri in quegli anni. Un albero Indipendente che non aveva avuto paura di opporsi al deserto del suo paese. Aveva tentato, senza successo, di fondare un sindacato indipendente degli alberi.
Col passare degli anni aveva imparato la lezione a memoria. Che l’Indipendenza del suo paese era stata svenduta e messa in vendita come un prodotto qualsiasi. E’ allora che i Grandi Compratori del Mercato Umanitario arrivarono a frotte. E così la ‘cintura verde’ cominciò a trasformarsi in un luogo turistico come un museo poco custodito. E lui, l’albero dell’Indipendenza, era preso come ostaggio in ogni anniversario. Facevano ormai 55 volte, gli anni nei quali doveva spostarsi per assistere ai soliti discorsi di circostanza. La ‘cintura verde’ si sentiva assediata dai nuovi quartieri residenziali della città e dalla prevista estensione dell’aeroporto Diori Hamani.
Senza farsi notare, il solo albero dell’Indipendenza che rimaneva, iniziò ad interessarsi della sorte degli altri come lui. Dopo aver contattato una ONG del posto e aver ricevuto una formazione specifica si mise a sorvegliare i grandi camion portatori di legno. Erano i suoi fratelli e sorelle ad essere identificati, tagliati, fatti a pezzi ed infine venduti in città per una manciata di denaro. Ogni volta era la stessa storia. Gli alberi diventavano legno per fare la cucina e il deserto poteva continuare il proprio cammino. I camion carichi di legno, nel frattempo, contribuivano ad arricchire i grandi padroni del sistema di sfruttamento del legno.
L’albero dell’Indipendenza non sapeva più dove battere il capo. I mezzi d’informazione non gli davano nessuna fiducia. In buona parte erano stati comprati come si compra il legno sul mercato. Gli altri giornali si dichiaravano ‘indipendenti’ ma avevano dimenticato che la libertà non è mai gratis. C’è sempre un prezzo da pagare perché la dignità non ha prezzo. I partiti si erano ridotti a fare l’eco del vento che quando soffia riempie tutto di polvere. Nulla di nuovo a parte le parole di sempre. Non parliamo della società civile che, l’aveva capito dopo, funziona quando ci sono i soldi a dettare l’agenda. Si trattava con ogni probabilità di mercenari
Aveva allora deciso la migrazione come molti altri prima di lui. Un albero Indipendente e Migrante per cercare una soluzione decente ai suoi problemi. Alcuni lo chiamavano ‘disertore’ e altri ‘irregolare’. I più motivati tra loro gli davano come nome ‘clandestino’. Un albero clandestino senza radici che si sposta per attraversare il deserto che avanza. Con alcuni amici, che aveva conosciuto in cammino, avevano cercato di raggiungere il mare. E’ allora che avevano trovato il modo di diventare utili agli altri alberi che come loro camminavano verso il mare. Si sono messi assieme e come per prodigio il battello si è costruito da solo. A bordo c’erano solo donne e bambini. Era il giorno dell’Indipendenza del paese.
mauro armanino, niamey, agosto 015
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