L’ultima migrazione nigerina di Zezé
Era passato con altri migranti liberiani nel 2012. Zezé era un normale migrante senza nessun futuro ragionevole. Di ritorno o in transito con la nazionalità a seconda dell’interlocutore. La sopravvivenza quotidiana tradotta in settimane, mesi e anni di attesa. Originario di un remoto villaggio della Guinea si era dato il mestiere di vivere come barbiere per capelli migranti senza pretese. Un taglio rapido a seconda delle mode anch’esse migranti del Sahel. Stile campioni di calcio o attori sconosciuti nei manifesti pieni di polvere appesi a un chiodo del salone. Zezé era un onesto barbiere che cercava di progredire nell’arte. Aveva chiesto un aiuto per tornare a casa col camion dopo qualche mese di carestia.
Invece era partito nel Ghana per comprare nuovi strumenti di lavoro. Zezé torna per una seconda volta e da liberiano diventa cittadino della Guinea. L’associazione dei suoi compatrioti lo conosce appena. Si riavvicina al servizio migranti perché ammalato. Passa poi una terza volta perché non si regge in piedi. Una serie di analisi confermano il dubbio e Zezé finisce i suoi giorni la domenica mattina. Le radiografie e poi l’esame mirato del sangue confermano il sospetto. Un tumore clandestino gli ha mangiato il fegato messo a dura prova dall’uso e abuso di alcolici. Spesso per dimenticare o per imbrogliare la violenza. Veleno ingerito a prezzo stracciato nel quartiere.
Zezé arriva e parte da straniero. I pochi compagni ad assisterlo sono, come lui, stranieri. Solo l’associazione della Guinea lo assiste, tardi, per aiutare le operazioni della sepoltura. Un paio di giorni in cella frigorifera e qualche ora in un feretro di compensato senza pittura. Il corpo avvolto in una stuoia e l’ultimo vestito della festa di qualche anno fa. Quando gli affari anche per i barbieri andavano meglio. C’era meno concorrenza e non tutti, ancora, si improvvisavano barbieri ambulanti. Uno specchio in formato tascabile, forbici, una tosatrice a mano e un pennello per insaponare la barba. Il profumo era facoltativo e faceva aumentare il prezzo finale.
Hanno organizzato un pulmino d’occasione e scavato la fossa. Terra nuda per circondare il feretro neanche fosse un grembo materno affittato d’occasione. Sua madre è al villaggio e sarà forse informata un giorno. Suo padre, invece, se n’è andato da tempo e neanche ha potuto salutarlo, prima di partire come esodante. Accanto ad altre tombe in cemento c’era la sua appena scavata di terra. Un canto mai terminato e acqua stagnante per benedirla. Un numero imprecisato di chiodi hanno chiuso il feretro sul posto. Una preghiera e l’allusione agli stranieri che nel regno a venire avranno il permesso di soggiorno definitivo. Una manciata di terra e poi la pala a completare il riempimento. Nel nuovo cimitero cristiano di Niamey c’è una tomba di terra aggiunta di fresco. L’ultima migrazione di Zezé, barbiere per vocazione, era cominciata.
mauro armanino, niamey, ottobre 015