La sete dei poveri. Morire nel Sahel
Venti erano bambini.Cinque gli uomini e nove le donne. Sono morti di sete nel deserto non lontano da Assamaka che puntella la frontiera tra l’Algeria e il Niger. Dalla terra di passaggio a quella di fuga c’è quella chte attraversa la sete. Si stavano dirigendo verso l’Algeria da dove migliaia di migranti nigerini sono stati espulsi negli ultimi mesi per contratto bilaterale ormai consumato. Gli unici corpi identificati sono quelli di un nigeriano e di una nigerina. Morti di sete la settimana scorsa, prima che iniziasse a diluviare, cosa accaduta troppo tardi per loro. Come per la crociata dei bambini verso la terra santa di secoli fa. I migranti bambini sono utili mendicanti da portare come ostaggi per fare della carità un’occasione di salvezza. Non c’è nulla di meglio che l’elemosina per salvarsi l’anima dalle punizioni divine. Morti di sete nel deserto che la sabbia e i sassi confezionano al quotidiano. Venti bambini che erano partiti per giocare a calcio tra le strade e le moschee nel mese del Ramadan. Allah Akubar, Dio era uno di loro, assetato pure lui.
Lo sapeva bene, Lui, che coltivare la sete era un rischio per gli umani e per Lui. La sete è pericolosa. Ne sanno qualcosa i bambini di Soweto che cercavano una libertà mai vista prima. Lo mettono in pratica anche quelli di strada, nel giorno a loro dedicato. Tutti assieme per festeggiare vicino alle banche di Niamey attorno a un pentolone di carne mescolata con cipolle. Morti di sete come le migliaia di minori che scavano gallerie nella terra in cerca di pietre preziose affogate nel fango. Bambini che vanno e vengono dall’Algeria come una porta girevole. Sono espulsi, deportati, accompagnati, ospitati dal Centro dell’OIM e ricondotti a casa. Ripartono dopo che i soldi ricevuti per rinunciare al viaggio sono finiti. Morire piano o morire di sete diventa una differenza di settimane e con un poco di fortuna si arriva. Per questo serve Dio e chi organizza i viaggi. I passeurs che conoscono strade, poliziotti, gendarmi, doganieri e il deserto. Anche loro hanno sete, di guadagnare, e non sono i soli. I politici e i commercianti sono assetati di guadagni. Ad ognuno la sua sete.
Ho sete, aveva gridato nella solitudine, quando era uno di loro. Uno dei venti bambini che avrebbero giocato a guardie e ladri con i mendicanti algerini della zona. L’Algeria è l’altra meta sognata da migliaia di migranti. Per lavorare, studiare e per molti tentare in Marocco, in Libia e verso il mare di tutti prima che diventasse nostro. Andare e poi tornare, fare la stagione e tornare ancora. Nulla di nuovo, nella sete migrante che l’italica stirpe ha fin troppo provato. Sulle navi, i treni, a piedi passando le alpi, i bambini italiani in Svizzera nascosti in casa per anni. Tutta questione di sete che poi il nostro popolo ha tradito, accontentandosi di consumare il presente a prezzi scontati. Sono morti di sete, come il Dio che con loro era partito qualche giorno prima da migrante. Un bambino come gli altri, che domandava da bere ad una nigerina venuta ad attingere all’unico pozzo ancora vivo. Era verso mezzogiorno e in giro non c’era nessuno a quell’ora. Dammi da bere, gli ha chiesto, l’acqua era appena finita. Erano morti di sete verso le quindici.
Il futuro appartiene a loro. Ai poveri che non si accontentano di pane e acqua, come in galera. Per vivere vanno a morire e per morire rincorrono la sete che hanno loro tramandato. I sazi, invece, barricati dietro vasche d’acqua salata e ponti levatoi, moriranno di invidia e di paura. Hanno svenduto la sete ai trafficanti di parole e di denaro. Sfortunati i popoli che hanno dimenticato l’arte della sete, la loro discendenza andrà perduta. Alberi senza frutti, case senza vita, strade senza passanti e notti senza stelle. Tutti nei supermercati a comprare di domenica e poi di fretta a nascondersi dalla vergogna. I bambini, una ventina in tutto, erano morti di sete e Dio era uno di loro. Li hanno visti più tardi danzare nella pioggia.
mauro armanino, niamey, giugno 016