Quando muore il messaggero ma non il messaggio. A vent’anni dall’uccisione di Pierre Clavérie

 

Sono passati vent’anni. Il primo di agosto del 1996 il vescovo di Oran, in Algeria, era assassinato.  Pierre Clavérie e l’amico Mohamed Bouchikhi sono morti nell’esplosione di una bomba all’ingresso della residenza del vescovo.

Sono passati vent’anni da allora e le cose, non solo nel Maghreb, non sono affatto migiorate per i cristiani. Immaginiamo per un attimo che a Niamey o altrove nel paese un iman fosse stato ucciso da un cristiano con o senza grida di sfida. Immaginiamolo soltanto perché con ogni probabilità che scrive non sarebbe più vivo o allora sarebbe sotto buona scorta, come già accaduto in un recente passato.

Poco più di un anno fa, dopo il famoso ‘Charlie Hebdo’,  hanno bruciato una settantina di chiese, a Zinder e Niamey, ci sono stati una decina di morti. Nessun responsabile è stato identificato fino ad oggi, nessuna marcia di appoggio e nessun musulmano in chiesa…Paese che vai gente che trovi… In effetti qui, e nel Maghreb, non mi risulta che funzioni sia nessun comitato di condanna di atti ‘cristianofobi’.

Ecco perché i venti anni dal martirio di Pierre Clavérie e dei sette monaci di Tibhrine, accaduto qualche mese prima e di altri ancora, rimane essenziale come una parole scritta con la vita. A condizione di farne memoria, una memoria sovversiva e soprattutto nel saper discernere quanto rimane del messaggio, dopo aver eliminato il messaggero.

Anzitutto quello dello spazio vitale, quello del vivere insieme…’ mantenere uno spazio che non sia monolopizzato da una religione, una cultura o un tipo di ideologia’, Clavérie l’affermava in un  discorso del 1993. Uno spazio che solo il dialogo, il suo ‘maitre mot’, può offrire. Il dialogo che si pone come ineludibile cammino di incontro con Dio e con l’altro.

Lo ricordava il giorno inaugurale del suo servizio alla diocesi ddi Oran il 9 ottobre del 1981…’il dialogo è un’opera sempre in costruzione: lui solo ci permette di di disarmare il fanatismo, in noi e nell’altro. Tramite lui siamo chiamati a esprimere la nostra fede nell’amore di Dio che avrà l’ultima parola sulle forze della divisione e della morte’.

Un dialogo, sostiene Clavérie, che non è irenico esercizio o semplice ricerca delle… ‘basi comuni,  trappola narcisistica do ogni dialogo che cerca di negare  o a evitarel’alterità’ , col rischio di…‘ non costruirenulla sulla menzogna, la paura di non piacere e le mezze- verità’… come sosteneva  Christian de Chergé, il priore dei monaci uccisi a Tibhrine.

Un occidente arrogante, che paga quanto in tutti questi ha seminato. Guerre, occupazioni, armi, politiche economiche inique e colonialismo culturale. Un Islam che, nella forma salafista djhiadista, ha potuto impunemente prosperare nelle monarchie del Golfo e in particolare in Arabia Saudita. Com’è innegabile che l’antisemitismo della cristianità ha costituito l’humus di quanto sarebbe accaduto coi nazisti, così il fenomeno del terrorismo a matrice islamica l’humus lo trova nel salafismo ‘armato’.

Ricreare spazi liberi di incontro, rinsaldare i vincoli sociali spezzati dal capitalismo selvaggio di questi ultimi trent’anni e ostinarsi nel cammino del dialogo della vita sono alcune delle eredità ch il vescovo do Oran ci lascia. Il più importante, comunque, sta tutto nel suo martirio per fedeltà al popolo algerino che riteneva vittima, come lui, delle forze della divisione.

                                                                                         Mauro Armanino, niamey, 31 luglio 2016