I quattro silenzi di Niamey
Silenzio. Si scava con le mani sulle colline di Méto,nei dintorni di Zinder. Correva la voce vi si trovasse l’oro in quantità. A migliaia sono andati a cercare ciò che sembrava un dono di sabbia. L’oro si trova ovunque, dicevano le voci del popolo del Sahel. In qualche giorno oltre duemila persone hanno occupato il luogo con mani, pale, picconi e asce. Nulla di dorato è apparso all’orizzonte delle colline e dopo un paio di settimane i cercatori d’oro sono tornati alla vita di sempre. Contadini di sabbia e di sassi non auriferi. Il primo silenzio è quello dei poveri. Dura da un’eternità e si tramanda come un segreto da una generazione all’altra. Un silenzio ostinato e pieno di dignità che pochi sinora hanno saputo ascoltare. Diceva con saggezza Ivan Illic che del popolo non è dalle parole ma dai silenzi che bisogna imparare.Il silenzio dei poveri che seminano il dolore nelle zolle seccate dal vento e dal tempo. D’oro, per gli intenditori, è il loro silenzio, grido di dignità.
Il bilancio ufficiale presentato dalle autorità fa caso di uno studente ucciso, 88 feriti e 313 interrogati. Si tratta degli studenti dell’Università Statale Abdou Moumouni di Niamey. Era il 10 aprile scorso quando i militari hanno risposto alla manifestazione studentesca con lacrimogeni, bastonate, intimidazioni, occupazione dello spazio dell’università e varie ruberie. 23 mila studenti sono stati estromessi dal Campus e sopravvivono in qualche modo. Le scuole elementari, medie e superiori sono da tempo allo sbando. In qualche caso l’anno scolastico non è mai cominciato. Scioperano gli alunni perché scioperano gli insegnanti perchè sciopera il salario, le aule, le attrezzature e l’anno scolastico è pure lui in sciopero. Il secondo silenzio è quello dei partiti, dei sindacati, dei genitori, delle agenzie umanitarie di cooperazione, delle ambasciate e dei comuni cittadini. Il silenzio complice di chi ha messo i figli nelle università e scuole private.
Si muore di meningite nella zona di Diffa, nel profondo Niger provato dal terrorismo di Boko Haram. Si contano a migliaia gli sfollati e i rifugiati dalla vicina Nigeria e dal lago Tchad, abbandonato dagli autoctoni. Scompaiono senza lasciare traccia i migranti tra il mare, la sabbia, la Libia dei campi di eliminazione e i voli charter per i meritevoli di ritorno assistito. Si assenta pure Dio. Il suo è il terzo silenzio di Niamey. Lui, nel suo piccolo, vorrebbe anche poter dire la sua, anzi potremmo dire che l’ha già detta. Sono gli altri che lo mettono a tacere. Quelli che lo controllano, lo pedinano, lo osservano, lo tengono come un ostaggio da negoziare. Non è lui come tale ma i religiosi che gli stanno attorno. Silenziosi davanti ai massacri, all’impunità, all’eliminazione dei piccoli e ai soprusi dei potenti. Il Dio qualunque di Niamey fa del suo meglio tra i minareti, le croci delle farmacie e i cimiteri della città. Si parla di lui e c’è chi lo difende come ne avesse bisogno. Il terzo silenzio è quello dei religiosi che insitono per svegliarlo, invano, presto di mattina.
C’è infine il silenzio degli intellettuali. Quelli della coscienza critica, della parresia paolina o foucauldiana a seconda dei versanti. I cani da guardia che abbaiono ai ladri. La voce libera di chi non ha nulla da perdere a parte la dignità e la pace con sé. Chi sa intravvedere dove batte il cuore del futuro. Coloro che si legano al popolo come col cordone ombelicale. Invece adesso si scoprono assoldati, venduti o in fase di estinzione come specie rare. Dopo l’epoca delle indipendenze, assistono alla nascita delle repubbliche bananiere per essere complici di elezioni tropicalizzate. Loro, gli intellettuali, assenti da tutto quanto può creare conflitti col potere. Mercenari da strapazzo che combattono per la posizione e tradiscono con monotona regolarità le promesse di un mondo senza colonie. Studiano altrove e perpetuano il potere dei pochi che si passano le redini dell’arroganza finanziaria. Viaggiano spesso e fingono di essere importanti quando tornano al Paese. Il quarto silenzio è quello più assordante perché scava la tomba della democrazia.
Mauro Armanino, Niamey, aprile 017