Il pozzo della speranza venduta alle frontiere del Niger
L’hanno venduto al mercato delle frontiere dopo averlo battezzato così nel 2003. Il pozzo della ‘Speranza 400’, il pozzo dell’espoir, è il più noto migrante del Sahel. E’stato rubato alla sabbia nel 2003 dall’ONG Action contre la faim, Azione contro la fame. Tappa inevitabile nel cammino di andata e di ritorno dal confine libico, a poca distanza da Dirkou. Assieme al pozzo Achegour, antica meta dei carovanieri tuareg, è conteso ai dromedari che possono attendere per ore il loro turno. I pozzi si svuotano per l’uso e solo la solidarietà delle falde acquifere del deserto disseta la vita degli occasionali viandanti di sabbia.
L’altro giorno non ce l’ha fatta. Malgrado tutta la buona volontà e il mestiere di salvare non ce l’ha fatta. E’ arrivato tardi un’altra volta. A metà strada tra Dirkou, ormai militarizzata e l’oasi di Séguédine, il pozzo della speranza è in lutto. Inizio mese almeno 44, compresi i bambini che andavano per gioco, erano morti di sete mentre cercavano la speranza nel pozzo. Il ritardo si è ripetuto l’altro giorno. Oltre una cinquantina di migranti sono scomparsi assieme al pozzo, partito alla loro ricerca. Solo 23 sono stati salvati ancora smarriti dalla sete e non lontano dal pozzo della speranza, venduta nel frattempo al mercato della sicurezza.
Umile come ogni pozzo che si rispetta non si rassegna a come vanno le cose. Conosce la sete da tempo immemorabile e i fratelli pozzi dei dintorni lo hanno consigliato come si deve. Buon ultimo, il pozzo della speranza ha capito come funziona il sistema. I militari si appostano non lontano da lui con lo scopo di bloccare i mezzi di trasporto degli amici migranti. Sapeva fin dall’inizio che sarebbe finita così. Lui che delle frontiere se ne intende. Passano tutti da lì, militari, dromedari, mercenari, cercatori d’oro e migranti. Investono milioni per pattugliare, controllare e reprimere. Lui ha fatto la sua scelta, è un pozzo migrante.
Esattamente come quello di Mosè, fatto di roccia, che accompagnava il popolo nel deserto. In quegli anni la Terra Promessa si spostava in continuazione. Non è come quella dei nostri giorni, circondata da un muro di cemento alto otto metri, il doppio di quello di Berlino. In quei tempi la roccia a forma di pozzo camminava col popolo che scappava dalla schiavitù d’Egitto. Una bella avventura che alla fine l’aveva deluso. Il pozzo si era sedentarizzato e solo i coloni se ne servivano a dovere. Il pozzo della speranza non avrebbe mai abbandonato quelli che cercano la promessa della terra da un’altra parte. La speranza è un migrante.
L’hanno visto e soccorso dopo pochi giorni. Il pozzo della speranza si era perso cercando altri come lui, assetati d’acqua nel deserto della promessa. Migrante per scelta, il pozzo ha salvato altri che come lui cercavano la sete per professione. Non si accontentavano degli stagni d’acqua piovana o delle paludi presentate come l’unico futuro possibile. Come quello di roccia, anche il pozzo della speranza venduta non si è rassegnato a scomparire sepolto dalla sabbia. Prova nuove piste, traccia inediti sentieri subito cancellati, inventa storie per passare le notti e chiama le stelle per nome. Il pozzo della speranza non si trova sulle carte geografiche e come i miraggi, si allontana se arrivano i giornalisti. Mai nessuno ha potuto finora intervistarlo o convincerlo a tornare. Alcuni migranti come lui l’hanno visto mentre, di nascosto, piangeva in silenzio ai piedi di un bambino.
Mauro Armanino, Niamey, Luglio 017