Liberazioni di polvere. Il Sahel insegna
André ha appena chiamato dalla libertà perduta e ritrovata. Dopo vent’anni di carcere esce libero dal carcere di Kollo non lontano da Niamey. Gli ultimi tempi faceva il contadino nell’orto adiacente al recinto della prigione. Un primo tempo di prova per vedere se riusciva a coltivare la libertà imprestata da poco e smarrita da troppi anni. Ha offerto ai visitatori la migliore lattuga mai vista in giro, assieme a pomodori, melanzane e carote appena spuntate.Era il suo regalo per l’occasione prima di salutarsi per l’ultima visita concessa dal regolamento interno. L’altro amico di cella uscirà lunedì mattina, anche lui dopo vent’anni.
Aveva tentato di evadere una volta mentre si trovava ancora nella casa di pena di Niamey. Poi aveva assistito ad altre due evasioni senza parteciparvi. Voleva che stavolta a liberarlo fosse il tempo della libertà non rubata ma conquistata. André è diventato credente in carcere e dice che nella bibbia la parola si è liberata fino a diventare la sua compagna di cella. La libertà è fatta di polvere e di vento. Nasce non per caso nel Sahel e si esporta fin dove arrivano i piedi scalzi che le spine non fermano. Vent’anni spesi a declinare il verbo che la parola libertà ha reso impraticabile altrove. André ha quarant’anni e da venti si trovava in esilio.
Erano 23, sedute ad aspettare non lontano dalla sede della lega musulmana adiacente alla moschea. Lungo la strada dove passavano biciclette, taxi e qualche moto senza targa. Qualche anno fa il gruppo di donne raggiungeva le 35 unità. Alcune sono andate altrove, al villaggio di origine o scomparse nella polvere del Sahel di questi giorni dove neppure ci si accorge del sole. Lo facevano per i figli, per il marito scomparso o assente, per curarsi poi delle malattie. Donavano piacere ad ore nel quartiere e per non farsi riconoscere abitavano da un’altra parte. Hanno abbandonato il commercio del corpo e trafficano speranze di polvere.
C’è chi commercia galline faraone e chi si investe nell’ambito dei cosmetici. Altre vendono legno tagliato a pezzi più piccoli spesso arricchito di carbone. C’è chi propone recipienti di plastica cinese e chi invece sconta tessuti locali per abiti di festa. Più di una ha iniziato a vendere cibo popolare per i senza lavoro che a Niamey sono la quasi totalità. Cibo informale per gente che vive di nulla e di tutto quando capita. Qualcuna si è sposata, senza dire come ha vissuto prima, tanto esiste la poligamia e non c’è tempo di approfondire le conoscenze. Ci sono tra loro anche alcune vedove con figli e una di loro vende pesci di fiume arrostiti.
André adesso cerca una casa, un lavoro e soprattutto cerca di non smarrire la libertà dopo averla attesa per vent’anni. La seconda parte della sua pena si è conclusa proprio a Kollo che si trova ad una trentina di kilometri da Niamey. Lui si reso famoso non per suo merito. Qualche anno fa ha ospitato un presidente eletto che aveva tentato invano di perpetuarsi nel potere. Poi ha accolto tra le sue braccia vari funzionari del ministro della Sanità accusati di corruzione. Kollo ha poi conservato il ricordo dei diversi accusati e condannati per l’acquisto dalla fabbrica di bambini dalla Nigeria. Tutta gente altolocata poi tornata in città.
A volte il turno di Kollo passa ad attivisti delle società civile e per ultimo anche a sospetti di Boko Haram. Detenuti in attesa di giudizio per anni ormai, come alcune signore che arredano il panorama del carcere che senza di loro perderebbe fascino. Tra queste ultime si trova una signora di origine nigeriana arrivata da poco da Agadez. Il questa città messa a mal partito dalle recenti politiche repressive sulle migrazioni lei gestiva un ristorante. Proprio il nostro André ne aveva segnalato l’arrivo. Dopo qualche istante e i convenevoli di rito ha chiesto sottovoce una bibbia in inglese. André ha sorriso quando la donna ha confessato il suo nome. Si chiama Joy, proprio il nome che lui aveva scelto di dare alla sua libertà di polvere.
Mauro Armanino, Niamey, febbraio 018