Un mondo senza di noi. Migranti e irregolari

Provate ad immaginarlo. Un mondo senza di noi sarebbe ormai impossibile. Ci ritirassimo d’un colpo dalle votre città e dalle vostre campagne. Dagli appartamenti dove i vostri vecchi pensano alla solitudine del giorno dopo. Dove scomparite in fretta di sera perché non sapere che fare del tempo che vi resta. Passate furtivi sulle strade per timore di incontrare qualcuno di sospetto. La paura è diventata la vostra fedele compagna di talamo e gli occhi faticano a trovare un fratello. Senza di noi finireste proprio male. Vi chiudereste senza scampo dietro le vostre feritoie con la luce filtrata da un sole senza calore. Più nessuno da ospitare per essere salvati dalla prossima guerra. La vostra frutta rimarrebbe senza mani e piedi per arrivare lontano. I vostri politici sarebbero obbligati  a parlare un’altra lingua, differente da quella ristretta dall’odio che li trasforma in vincitori. Un mondo senza di noi somiglierebbe ad una giostra senza bambini e a un parco senza giochi. Dovrete ricominciare daccapo ad industriarvi per trovare un altro nemico.

Nemmeno a pensarlo. Senza di noi che farebbero le vostre pulsioni umanitarie così sofisticate ed efficaci. Chi avreste da salvare, sistemare, accudire e infine catalogare. Come farebbe la vostra economia a funzionare senza l’apparato che avete, negli anni, elaborato per proteggervi. Ammettete che la vostra vita prenderebbe un’altra piega. Vivere senza muri attorno, resi inutili come soprammobili, vi obbligherà a scrivere nello sguardo dell’altro senza cancellature. Non avrete altre scuse da accampare e dovrete fare i conti con la vostra storia. Eravate come noi, non fosse per la geografia che si è sposata con la storia da un’altra parte. Stesse barche, solo più grandi perché eravate più numerosi di noi a partire senza sapere dove. A dire il vero siete stati voi che, per primi, siete venuti a cercarci e da allora era nostra intenzione ricambiarvi la visita. Senza di noi avreste dimenticato quella porzione di voi che ha generato ciò che siete. Un mondo senza di noi, ammettiamolo,  è difficile a pensare. Sarebbe come una domenica senza campane.

Sarebbe una barbarità. Un mondo senza di noi finirebbe col sapore di vuoto che vi ha sedotto e poi abbandonato sulle sponde delle frontiere in cui confidate. Non vi salveranno, lo sapete bene. I tentativi di metterci da parte falliranno perché siamo della stessa razza. I figli vi rammentano un futuro che sentite come una condanna precoce. Anche per questo un mondo senza di noi sarebbe destinato al fallimento e poi alla liquidazione. Sarebbe un mondo dove la speranza arriverebbe in ritardo perché senza documenti legali. Proprio come la vita che, come la morte, cercate di tenere a bada per evitare le ferite dell’incertezza. Vivreste, senza di noi, come in una grande prigione a cielo aperto fingendo la democrazia e la libertà che avete barattato in cambio di tranquillità. Perfino le parole che assomigliano alla giustizia finirebbero, senza di noi, per scomparire inghiottite dalla vostra codardia. Vi siete venduti, senza saperlo, ai mercanti di felicità a tagliandi, con crociera premio nel Mediterraneo. Il mondo senza di noi andrebbe alla deriva.

Come un naufragio. Ecco un mondo senza noi. Un naufragio con spettatori pronti a carpire le immagini mentre stanno affogando. Vorreste che di qui non andassimo da dove siete prima venuti. Immaginate di poter controllare i nostri occhi ma le impronte dell’anima vi sfuggiranno sempre. Un mondo che non avrebbe più posto per il mistero  è destinato a girovagare per sempre nei gironi dei supermercati che hanno reso le vostre città un simulacro di civiltà. Vi sfuggiremo come sabbia tra le dita di quelle mani che sanno costruire quello che avere tradito: la solidarietà. Senza di noi non ci sarebbe nessuno a prendere i bus di notte in città e persino i vostri asili d’infanzia sarebbero senza balocchi. Le favole vi hanno abbandonato perché avete dimenticato come si fanno gli aquiloni e le barche con la carta di giornale. Un mondo senza di noi sarebbe come una strada deserta di nomi, di volti e di storie.

                                                                                                             Mauro Armanino, niamey, giugno 2018