Le (auto) censure dell’Occidente distratto

Lo riconosco, un mese in patria non è molto. Appena 30 giorni in un calendario che dipende dalle circostanze e dall’attesa del visto per il ritorno nel Niger, scaduto ancora prima di partire per inavvertenza.  Del Sahel e del Niger, almeno finora, nessuna traccia in televisione, nei giornali e nei discorsi. Abbiamo smesso di esistere entrambi e con noi la sabbia e i morti quotidiani ad opera degli imprenditori della guerra e i bambini dei poveri che hanno, ormai da tempo, smesso di andare a scuola. Gli insegnanti minacciati perché considerati fiancheggiatori dell’Occidente che soprattutto con la scuola ne perpetua il colonialismo culturale e politico. Malgrado la vicenda delle navi coi migranti salvati dalle acque libiche in attesa di attraccare a Lampedusa quanto accade a monte, anzi nel deserto, è stato cancellato. Le (auto) censure sono le più pericolose e, come avvenuto anche in altre epoche, potrebbero condurre ad ulteriori derive un continente che fatica ad assumere le conseguenze dei principi che propone e spesso impone agli altri.

L’insostenibile censura di quanto costituisce la realtà, che è sempre processo da interpretare, voluto o inatteso, di scelte operate nella contingenza del tempo. Non si dice più nulla dei migranti cancellati dai radar prima che raggiungano, a migliaia, i campi di detenzione in Libia. Si è dimenticato, colpevolmente, che adesso le frontiere europee sono scese anche da Agadez nel Niger, verso la costa atlantica. La gente del posto non è più libera né di restare né di partire. Quanti, a proprio rischio e pericolo, cercano ancora di partire, sono intruppati nei campi di ‘accoglienza detenuta’ gestiti dall’OIM. Quest’ultimo, delle Migrazioni Internazionali, ha fatto la propria Organizzazione e cioè il business in nome dell’Occidente che lo finanzia. Che i migranti siano ormai dei criminali da fingere di fermare alle frontiere è fatto conosciuto ed accettato da quelli che contano. Delle politiche Europee che da decenni e in particolare, per quanto riguarda il Sahel, dal 2015, incontro intercontinentale della Vallette, non ci sono più tracce. Eppure è in conseguenza di tali politiche che poi appaiono le navi salvatrici di persone che l’Occidente condanna e poi spinge al naufragio.

La gente non è libera di partire né libera di restare perché lo smantellamento delle economie locali e la rapina sistematica e coerente delle risorse impedisce o rende almeno problematico il restare. Dalla pesca sulla costa ai minerali, per passare all’agricoltura, il sistema di spogliazione globale continua ad infierire nello spazio saheliano. Ciò accade con la complicità delle élites locali, da tempo acquistate dal sistema e membri subalterni delle classi dominanti internazionali. Ottenere visti e permessi di soggiorno è una missione ritenuta dai più impossibile e la sola via che rimane da percorrere per farsi accettare come nuovi schiavi dell’Occidente è il cammino nel deserto o altre rotte impossibili che durano anni. Queste cose non si dicono più a causa di questa censura che, come una coltre di fumo, impedisce di cogliere la storia e si limita alla cronaca da manipolare secondo gli interessi dominanti. Si censura il ‘politico’ come ambito privilegiato di costruzione sociale comune e ci si ribatte sulla gestione amministrativa e romanzata della politica.

La censura intesa come complice occultamento del reale porta come conseguenza l’insopportabile tradimento dei poveri. Essa comincia dagli occhi, asserviti alle mercanzie e le pubblicità dominanti e coinvolge allo stesso tempo le orecchie, preda dei cellulari, che ne ritmano l’ascolto. Si cammina guardando lo schermo e ascoltando e parlando in continuazione in immaginari dialoghi a distanza mentre i volti reali della gente scompaiono frantumati dall’assenza. L’auto censura, ancora più ingiustificabile coinvolge i mezzi di comunicazione, i cittadini comuni e gli imprenditori sociali e religiosi. Assimila e colonizza l’ambito politico, educativo ed economico delle società dell’Occidente. Lo smascheramento di questa omertà è il primo passo verso la redenzione. Il secondo si chiama rivolta, ossia la conversione ai volti.

 

                                                                                        Mauro Armanino, Genova, agosto 019