Schiavi, servi e liberati. Impressioni di settembre

Liberate padre Gigi. Scritto grande accanto alla rotonda che porta a Madignano, provincia di Cremona, suo paesello natale. Stampato su striscioni al municipio e presso la cattedrale di Crema. Posto in alto nella casa provinciale della Società delle Missioni Africane a Quarto Castagna, sulla strada che porta a Nervi. Se si arriva al mare non si può non notare la statua di Garibaldi partito da Quarto per ‘liberare’ il SUD dell’Italia dallo ‘straniero’. Libérez le P. Pierluigi è il testo del volantino affisso in alcune zone della capitale del Niger Niamey, dove Gigi è stato portato via da poco meno di un anno. Liberate padre Gigi, come se coloro che non sono tenuti in ostaggio come lui fossero liberi. La liberazione è un cantiere permanente che inizia sempre con una presa di coscienza che sfocia poi in una negazione. Liberi non si nasce: si diventa assieme.

Le schiavitù sono in genere volontarie. Nessun dittatore e nessun regime dispotico potrebbe mantenersi a lungo al potere senza l’adesione dei sudditi. La Grande Dittatura è riconducibile al sistema che nel mercato globale e il conseguente consumo ha tutto trasformato, come l’oro di un nuovo Re Mida della fiaba, quanto tocca in merce. L’adesione a questo tipo di opzione preferenziale per le merci ha una lunga storia dietro di sé e con ogni probabilità un brillante futuro nei prossimi anni. Cinquecento anni di capitalismo globale e qualche decennio di dittatura mediatica hanno creato le condizioni per la resa etica ed intellettuale alla quale assistiamo nei nostri giorni. L’epoca delle schiavitù non solo non è terminata ma si rinnova e rinasce dalle ceneri grazie alle delocalizzazioni, allo sfruttamento lavorativo e all’asservimento al capitale.

La scomparsa del lavoro, decretata a tavolino dai teorici dell’economia, è piuttosto la scomparsa dei lavoratori. Sono loro che pagano con la vita, nel nostro Paese come altrove, le condizioni di sfruttamento lavorativo che li rendono ancora più vulnerabili. Si calcola che i morti annuali sul lavoro o in relazione con esso siano nel mondo oltre due milioni. Nel nostro Paese, secondo l’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro, in 15 mesi oltre 1600 lavoratori hanno perso la vita, per buona parte nell’agricoltura. Senza poi citare il lavoro minorile nelle miniere dei metalli preziosi per le economie digitalizzate delle tecnologie attuali. Schiavi e schiave del nostro tempo che, invisibili ai più, permettono la riproduzione del sistema di spogliamento globale della dignità umana, grande perdente dell’operazione.

Schiavi e servi sono un parto gemellare del sistema che si è radicato tanto profondamente da apparire come ‘naturale’ ai più. La guerra attuale è quella della fame che, come ricorda il sociologo e uomo politico svizzero Jean Ziegler, uccide ogni anno più di tutte le guerre messe assieme. Detta guerra è uno degli ‘effetti collaterali’ della schiavitù dei servi del sistema che ne hanno fatto la loro arma privilegiata di distruzione. La schiavitù servile è in fatti foriera di morte, necrofila per vocazione, come ricorda il filosofo e insegnante camerunese Achille Mbembe. La ‘necropolitica’, di cui ha sviluppato il concetto, non è che l’estensione nel tempo e nello spazio dell’ideologia capitalista neoliberale. Quest’ultima, come le altre ideologie totalitarie, si distingue per la riproduzione e l’appalto gestito dei cimiteri in giro per il mondo.

I liberati sono loro. Superstiti della trasgressione delle frontiere, disertori delle guerre umanitarie e di quelle di conquista, precari inventori di sogni, ingenui disegnatori di mondi, stolti artigiani di orizzonti, inaffidabili imprenditori di domande, improvvisati scrittori del silenzio e rivoluzionari in cerca di parole buttate via. Sono coloro di cui raccontava Paulo Freire nella sua ormai lontana ‘Pedagogia degli Oppressi’, nessuno libera nessuno, nessuno si libera da solo: ci si libera nella comunione. E aggiungeva che la liberazione è un parto, un parto doloroso. Ed è quello che ‘I liberi cittadini della Maddalena’, noto vicolo di Genova, ricordavano ancora ieri sera in Piazza Cernaia. Libera solo chi insiste con pazienza a fare reti, e ogni rete ha i suoi nodi. Riannodare legami è il primo passo per celebrare l’avvenuta liberazione di domani.

 

                                                                                                Mauro Armanino, Genova, settembre 2019