La tempesta di sabbia di Niamey
Il giorno seguente è stato sepolto Emmanuel, originario della Liberia, arrivato a Niamey da un paio di mesi dopo essere stato espulso, assieme ad altre centinaia di migranti, dall’Algeria. E’ morto sabato in città, forse per un’emorragia interna e custodito in una cella frigorifera dell’obitorio fino a martedì. La tomba è stata scavata nella sabbia la mattina stessa della sepoltura e il feretro è stato benedetto e poi deposto sulla sabbia. Dopo una breve preghiera e alcune parole di commiato di coloro che l’avevano frequentato c’è stata la benedizione e subito dopo le prime manciate di sabbia facevano uno strano eco toccando il feretro in compensato leggero. Le pale hanno completato la sepoltura e una piccola croce di ferro è stata piantata nella sabbia ancora fresca per la pioggia della tempesta del giorno prima. Il nome, la data presunta di nascita e il giorno esatto della morte, il 2 maggio 2020. Il fabbro che ha confezionato la croce e la scritta ha aggiunto il solito ‘qui riposa in pace’. Emmanuel ha una figlia al Paese e finora, malgrado i numerosi tentativi al telefono, non ha potuto essere informata del decesso di suo padre.
Loro, invece, si sono incontrati qui. Lui, liberiano di nome Michael e lei, di origine togolese chiamata Veronique. Michael aveva tentato l’avventura con la poco segreta speranza di attraversare il mare per raggiungere le coste dell’altro mondo. Non aveva neppure potuto avvicinarsi perché l’avevano buttato fuori della Libia come indesiderato. Lei invece aveva raggiunto sua sorella a Niamey e aveva iniziato come inserviente nella sale di gioco della capitale per poi affrancarsi e creare un ristorante per i migranti del quartiere. I due si sono incontrati, conosciuti e poi hanno scelto di condividere la vita per sempre. Michael è andato in Togo e dopo aver completato di pagare la dote di Veronica alla famiglia, ha accettato di celebrare il matrimonio civile in Togo in attesa di quello religioso a Niamey. Non potendo, almeno per ora, avere figli, hanno adottato un bimbo abbandonato sulla strada dalla madre, anch’essa togolese, all’età di sei mesi. L’hanno chiamato Philippe in omaggio al padre dell’attuale madre che lo sente suo figlio e dice che nel caso venisse un figlio loro non farebbero nessuna differenza tra i due. Il suo ristorante, malgrado la crisi dovuta all’epidemia, sopravvive bene.
La tempesta di sabbia di Niamey è anche una metafora dell’Occidente. Le apocalissi culturali di cui parlava a suo tempo Ernesto de Martino somigliano all’esclisse della tempesta di sabbia di Niamey. Vento di polvere che acceca lo sguardo e poi le tenebre che sembrano non finire mai. Col fiato sospeso e un silenzio di circa mezz’ora, neanche fosse il settimo sigillo del libro dell’Apocalisse di Giovanni. In Occidente non siamo più il centro del mondo e i nostri morti non sono più importanti di altri. Qui il Covid quasi non esiste ma l’anno scorso ci sono stati 3 mila 331 morti registrati per la malaria, una donna su 7 muore al momento del parto e nel Sahel l’anno scorso ci sono stati almeno 4 mila morti per il terrorismo. Subito dopo è scesa la pioggia, un fiume che scorre sulle strade e nei cortili della città arida e assetata d’acqua, dopo un lungo tempo di siccità. Poi, imprevisti e incuranti di tutto, alcuni bambini cominciano a giocare con barchette di carta nelle pozzanghere.
Mauro Armanino, Niamey, 9 maggio 2020